Avere cura di una società che fatica a curarsi

________________________________di Dino Perrone

 

In Italia sono in preoccupante aumento i casi di persone che non hanno neppure i soldi per comprarsi le medicine. Siamo in presenza di una nuova forma di povertà, nel pieno di una crisi che purtroppo non trova sbocchi credibili

L’esito certamente non scontato delle elezioni presidenziali americane dovrebbe indurre una certa cautela nell’avvicinarsi a tutto quanto riguarda stime, previsioni, sondaggi e proiezioni.

Fatta questa doverosa premessa, ci sono segnali che, per la fonte autorevole da cui provengono, comunque non possono essere presi alla leggera perché, persino al di là del merito specifico, confermano la persistenza di un clima di scarsa fiducia nella effettiva capacità di ripresa del nostro Paese.

Uno di questi segnali, manco a dirlo, ci arriva da Bruxelles.

Nelle scorse settimane Pierre Moscovici, commissario per gli Affari economici dell’Unione Europea, pur dichiarando di comprendere “le difficoltà economiche e sociali dell’Italia”, a nome della Commissione da lui presieduta ha tagliato le stime sul nostro Prodotto interno lordo.

Uno “scostamento” rispetto alle previsioni di Roma non clamoroso ma certamente significativo e che di sicuro non ha aumentato gli entusiasmi del premier Renzi e del suo ministro Padoan, impegnati invece da mesi a giurare sulla svolta oramai avvenuta della nostra economia.

Più che di una svolta, sembra che purtroppo si debba parlare di un girotondo. Ci si mette in movimento ma si finisce con il tornare sempre al punto di partenza.

Bruxelles infatti prevede per il 2017 una crescita dello 0,9%, dunque al di sotto del punto percentuale atteso dal governo italiano, a cui si accompagnerà un aumento del deficit e del debito rispetto al Pil. Tutto questo mentre, per lo stesso periodo, viene pronosticata una crescita media dell’1,5% dei Paesi della zona euro.

Vista, o meglio “prevista” così, è chiaro che sono le altre economie a fare passi in avanti, mentre noi mestamente giriamo solo in tondo. Ed a questo punto sposta poco la valutazione che l’Unione Europea riserva per le spese sostenute dall’Italia per i migranti e le calamità naturali che non entrano a far parte del patto europeo di stabilità.

Il nostro Paese resta comunque un malato sotto osservazione. E d’altronde non bisogna certo scomodare gli altri per rendersene conto. Basta immergersi nella realtà quotidiana di una società italiana che presente slabbrature sempre più evidenti.

I segnali sono innumerevoli. E tutti preoccupanti.

Siamo un Paese malato, ho detto. Ma che stenta persino a curarsi. Letteralmente.

Sono infatti in vertiginoso aumento i casi di persone che non hanno i mezzi economici per accedere alle cure loro necessarie. E non si parla solo di interventi costosi, ma anche della possibilità di comprarsi un medicinale da banco. Qualcosa di estremamente triste e preoccupante che sta ampliando il terreno di marginalità del nostro Paese.

Si tratta di quella che, con termine efficacemente appropriato, viene definita “povertà sanitaria” e sta ad indicare la situazione di particolare indigenza o di abbandono sociale nella quale versa una fetta sempre più consistente della nostra popolazione. Una condizione che rende difficile comprare antibiotici, analgesici, antipiretici e persino antidepressivi, oppure semplicemente affidarsi ad un medico di base per le necessarie prescrizioni.

Una realtà che è ben conosciuta dal Banco farmaceutico, struttura di intervento e sostegno alle persone in difficoltà sorta nel 2000 dalla collaborazione tra il ramo sociale della Compagnia delle Opere e Federfarma, e che oggi convoglia l’apporto di una trentina di aziende e di tantissime farmacie che aderiscono alla raccolta di medicinali non scaduti.

Nel ultimi tre anni  la richiesta di medicinali da assicurare e donare a quanti ne hanno bisogno è aumentata del 16%  e dell’8,3% nel solo 2016. Segnali concreti di un disagio crescente, di una fatica nel tirare avanti sempre meno sostenibile e che è oramai arrivata a colpire 557mila italiani.

Ma questa è solo la punta dell’iceberg.

Sotto il pelo dell’acqua, infatti, c’è una fetta ancora più ampia di popolazione. A causa della crisi economica, in questi anni oltre dodici milioni di nostri concittadini e cinque milioni di famiglie hanno dovuto limitare il numero di visite mediche e gli esami di accertamento.

Qualcuno, dinanzi a questi che non sono pronostici o sondaggi ma dati ruvidamente concreti, ha parlato efficacemente di un “dolore invisibile” che deve essere alleviato.

Si tratta di una ferita che sfregia il volto del nostro Paese. Un Paese troppo spesso abbandonato a se stesso, preda di una malessere sociale di cui non tutti si fanno carico come dovrebbero.

 

Dino Perrone

Presidente Nazionale ACAI